Canto del Te Deum nella basilica di San Vittore martire a Varese

 Monsignor Luigi Panighetti, prevosto di Varese, pronuncerà oggi, 31 dicembre, alle ore 18, in occasione della s. Messa di fine anno, conclusa col canto del Te Deum nella basilica di san Vittore martire a Varese.

Qui di seguito il testo:

«La guerra è una pazzia» con queste o simili parole Papa Francesco è tornato centinaia di volte sul dramma del conflitto in Ucraina apertosi con l’invasione da parte della Federazione Russa dello scorso 24 febbraio.

Un giudizio – quello del Papa – che fa eco al doloroso ed indimenticabile monito di Benedetto XV che definì la Prima Guerra Mondiale “inutile strage”.

Una fredda notte sta avvolgendo l’Europa.

“Beati gli operatori di pace, perchè saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5, 9).

La pace nel testo biblico non è solo assenza di guerra, ma l’uomo che vive in pienezza la sua esistenza in rapporto con Dio, con se stesso, con gli altri, col creato.

L’etica della pace è etica di comunione e condivisione capace di difendere la dignità umana e il rispetto delle diversità. Dice l’Apostolo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2, 5).

La pace è un cammino di riconciliazione nella comunione fraterna e in un impegno condiviso: c’è un “artigianato della pace” che coinvolge ciascuno di noi in prima persona.

La notte che ci sta avvolgendo deriva dalla guerra presente in tante parti del mondo, dalla terribile repressione in Iran, ma anche dai femminicidi, dall’eutanasia, dall’aborto, dalle logiche di egoismo e convenienza che sembrano prevalere in tante forme.

Questa realtà negativa fa sorgere in noi sentimenti di malinconia e scoraggiamento che ci fanno provare ancora di più un terribile senso di impotenza e paura.

In effetti il valore di una società si misura dalla capacità di farsi carico delle situazioni complesse e difficili come atto di civiltà, prima ancora che come questione di fede.

Come rispondere?

Innanzitutto non abituandoci ritenendo che non possiamo fare nulla, quasi fossimo spettatori impotenti che non si lasciano interpellare da ciò che accade perché le nostre occupazioni prendono inesorabilmente il sopravvento.

Certamente ci sono gesti personali o associati che possono essere compiuti per vivere l’incontro e contrastare situazioni di dolore e di morte.

La nostra Città anche in questi anni ne ha saputi mostrare molti.

Ma poi va aggiornato un nostro modo di guardare la realtà cercando di impegnarsi a comprendere meglio cosa si sta muovendo attorno a noi, cogliendo la complessità delle situazioni, evitando di fermarci al lamento e agli slogan, pretendendo impossibili semplificazioni.

Abbiamo il compito di coltivare una cultura di dialogo e di bene comune.

A fronte delle situazioni tormentate che viviamo non possiamo fare a meno di insistere: al di là di tutte le paure e blocchi sia la fede che la ragione sollecitano ad uno sguardo nuovo ai problemi comuni.

Dobbiamo uscire da orizzonti brevi e chiusi e trovare nuovi modelli che mettano al centro l’umano per affrontare i problemi sociali.

Il Presidente Mattarella nel suo intervento per l’inaugurazione dell’anno accademico 2022/23 dell’Università dell’Insubria riportava un pensiero di John Huizinga secondo cui: «considerava ottimisti non coloro che ignoravano le difficoltà, ma coloro che, pur prendendone atto e avendone consapevolezza, non perdevano la speranza, non perdono la speranza, anche quando tutto sembra senza prospettiva e via d’uscita».

Mi pare opportuno accennare a due questioni.

La prima è la presenza dei cattolici nella società e nella politica: si tratta di una eredità da custodire sottraendola a strumentalizzazioni di varia matrice.

C’è bisogno di ravvicinare la Politica ai cittadini per far tornare i cittadini ad interessarsi nuovamente della Politica.

I cattolici sentono la responsabilità di contribuire alla elaborazione di progetti per lo sviluppo sostenibile ed umano della società.

Viene da chiedersi se la politica è disponibile ad ascoltarli e ad avvalersi delle risorse da essi offerte che si pongono nell’orizzonte dei principi della dottrina sociale della Chiesa.

Tra le varie emergenze aggravate dalla pandemia dobbiamo considerare le dipendenze e il disagio giovanile: la questione rientra nel grande tema dell’educazione su cui le nostre comunità sono da sempre impegnate a vari livelli.

Come adulti dobbiamo sempre tenere presente il bisogno fondamentale di amare ed essere amati che attraversa ogni età della vita.

Laddove questa dinamica non si realizzi, dove questo bisogno non viene soddisfatto si cercano surrogati.

Riflettiamo che alcuni verbi sono importanti: ascoltare, responsabilizzare, conoscere sè e l’altro, relazionarsi, accompagnare. Nel Discorso alla Città del 6 dicembre, l’Arcivescovo ha affermato: «Voglio fare l’elogio del realismo della speranza che consente di affrontare l’emergenza educativa, il disagio delle giovani generazioni evitando di ridurre il tema in limiti troppo angusti.

C’è infatti il rischio che il linguaggio dell’emergenza suggerisca di cercare rimedi in interventi specialistici, in supporti farmacologici, in richiami moralistici.

Più che di emergenza e di disagio si deve forse parlare di una invocazione che le giovani generazioni ci rivolgono: «Dateci buone ragioni per diventare adulti! Testimoniate che vale la pena di assumere responsabilità, di mettere a frutto le proprie capacità. Dateci motivi per credere che sia possibile vivere rapporti di amore, stabili e appassionati alla promessa di generare figli e figlie».

La responsabilità degli adulti è e diventa quella di praticare il realismo della speranza. Non si deve certo sottovalutare il contributo che possono offrire le competenze specialistiche per affrontare le difficoltà che incontrano gli adolescenti. Ma è decisivo che i genitori, gli insegnanti, gli educatori delle nostre comunità siano adulti che, in rapporto con questi “altri” che sono le giovani generazioni, sappiano testimoniare che vale la pena diventare adulti, essere padri e madri, assumere responsabilità nella professione e nella vita sociale».

A parere degli esperti l’anno 2023 non sarà più facile di quello che si conclude. Non possiamo perciò nutrirci di un illusorio ottimismo, bensì invocare la Sapienza dello Spirito Santo per custodire nel nostro cuore l’esperienza che fruttifica il bene. L’essere umano è un “Io” in connessione, in relazione: è libero in relazione perché ogni nostra azione ha premesse e conseguenze che vanno al di là di noi. La sapienza che ci è chiesta è quella di avere il coraggio di andare oltre l’autoaffermazione individuale ed aprirsi all’altro da noi.

Tale atteggiamento impedisce di rimanere prigionieri di un “Io” che vuole padroneggiare il mondo senza riuscirci. Riscopriamo l’affidamento della nostra fede per riprendere il percorso verso la realizzazione di noi e la libertà. Come dice la Scrittura chiediamo che il Signore faccia risplendere su di noi il suo volto e ci conceda pace (Cfr Num 6 22-27).

Come in tutta la Diocesi anche a Varese nell’anno pastorale in corso si è inaugurata l’Assemblea Sinodale Decanale che sta muovendo i primi passi. Ringrazio sacerdoti, religiosi, religiose, laici che stanno collaborando al progetto che vuole essere strumento per contribuire al cammino delle Comunità Cristiane al fine di cogliere meglio le esigenze del nostro territorio in chiave missionaria, cioè per una più efficace presentazione della salvezza cristiana.

Infatti, nella fedeltà al Vangelo è necessario aggiornare i modi dell’annuncio di quella buona notizia che è lo stesso Gesù, Cristo, Figlio di Dio.

Come ebbe a dire Giovanni XXIII: “Non è il Vangelo che cambia: siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”.

Molto lavoro ci attende: il Principe della Pace continui ad accompagnarci sulla strada della storia e a sostenerci con la forza della sua Grazia.

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